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Testimonianza di Don Scasso sulla Resistenza

Testimonianza  di Don  Vincenzo Scasso

Parroco di Calice Ligure dal  gennaio 1944

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Don scasso

foto - Tabaccheria, Rimessa di Bertone  e Locanda di “Berto”

Arrivato a Calice vi trovai alcuni soldati, accampati nella rimessa Bertone; di notte montavano di sentinella al ponte di Ese, precedentemente minato. Erano brava gente: famigliarizzavano con i borghesi. Si alternavano ogni venti giorni. In Aprile vennero dei soldati polacchi, erano giovani e giocavano volentieri con i nostri giovani. Erano cattolici: oltre al manuale di preghiere avevano il manuale per le confessioni. Era un libro in cui i peccati erano tradotti in 4 lingue: tedesco, francese, italiano e inglese; in questo modo potevano confessarsi in qualsiasi nazione. Nel mese di Maggio vennero i soldati italiani: prima i bersaglieri, poi i fanti. Non era permesso, ordine del comando, parlare con i borghesi. Però quando ci vedevamo, i soldati ci salutavano e sorridevano dimostrando apertamente l’incongruenza dell’ordine ricevuto. Si aggiunsero alcuni soldati tedeschi che ci imposero i coprifuoco. Alle nove di sera dovevamo essere tutti in casa. Passava un soldato tedesco e se ci trovava fuori, senza guardarci in faccia, gridava :”aaa dormireee”.

In Ottobre arrivarono i primi marò, battaglione S. Marco. Ritornavano dalla Germania dove avevano fatto un lungo e curato addestramento (così dicevano). Li comandava il colonnello Tortora con altri 6 ufficiali. Vollero conoscere l’orario del suono delle campane; temevano che con le campane si dessero segnali ai partigiani. Il colonnello aveva una grande paura: teneva una sentinella al portone e una alla porta dell’ufficio e sul tavolo teneva la rivoltella. Tra gli ufficiali vi era anche il cappellano: non lo vidi mai. Seppi da alcuni soldati che era un napoletano, un gaudente, che non voleva “essere seccato” anche per le confessioni. In Novembre il colonnello Tortora andò in Altare; a Calice venne il maggiore De Zorzi. Con lui arrivarono a Calice oltre 200 soldati.

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Foto - Controbanda

Nel paese oltre ai soldati, v’erano: la compagnia Controbanda, sistemata nella cappella di S. Libera, comandata dal tenente Leonardini; alla casa Richeri la compagnia collegamenti, comandata dal capitano Massa; alla casa Cirio la compagnia “avanzata”, comandata dal tenente Rossi; in Ese, alla casa Cesio le salmerie con muli e carri, comandata dal tenente ---------, veterinario, molto buono e cattolico, che conosceva bene il canto gregoriano. In casa Massa c’era l’artiglieria con due cannoni.

Il 23 Aprile 1945 i soldati lasciarono Calice e il 24 partirono gli altri lasciando libertà ai calicesi di far saccheggio di ogni cosa, viveri compresi. Il 25 Aprile scesero i partigiani e i giovani uscirono dai loro nascondigli: iniziava quel periodo di caos che originò disordine e manifestazioni di odio e dichiarazione e professione di comunismo da parte di chi non aveva la minima idea di libertà e di politica.

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Foto - San Marco

Narrerò ora ciò che ho vissuto.

Il 25 Giugno 1944 in occasione dell’ingresso di don Giusto a Rialto, ho visto i primi partigiani nella zona: venivano dal novarese. La prima “scorreria” la fecero a Calice nella notte tra il 27 e 28 Giugno. Assalirono i soldati li disarmarono e alcuni soldati seguirono i partigiani aggregandosi ad essi. Furono pure prelevati 3 calicesi “sospetti”. Furono condotti alle Tagliate e, bendati, furono portati davanti al comando, dove furono giudicati da un gruppo di persone fra cui l’avvocato Isetta e Gin Bevilacqua. Furono rilasciati dopo due giorni con la raccomandazione di non “collaborare” coi repubblichini.

Le prime vittime. Vicino alla cappella della visitazione sopra Carbuta furono uccisi due soldati; un tedesco ed un italiano. Furono seppelliti sulla strada, nel terreno di Zunino. Furono seppelliti in quel luogo disse il maggiore tedesco, per  essere “monito alla gente”. Il giorno del funerale fece un discorso in tedesco e solo in lingua italiana disse ai soldati “sparate”, pochi avevano il fucile. Da allora venne l’ordine “nessuno cammini senza armi”. Quest’ordine provocò una terza vittima, un marò di Sampierdarena, si chiamava Pagnocelli. Si uccise per “imperizia dell’uso dell’arma” (così scrisse il tenente Bianco, aggiungendo che non era un’aquila ma un buon soldato).

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Fu pure ucciso un borghese, un vecchio di Ca’ del Moro, si chiamava Cortese Luigi. Ritornava a casa: volle passare fra i “cavalli di Frisia”: non rispose all’altolà della sentinella e questa sparò pensando fosse un attacco di partigiani. Lo vidi il mattino dopo era ancora per terra e teneva tra le mani alcune piantine di pomodori. Fu avvisato suo figlio che con l’aiuto dei soldati trasportò la salma a casa. Fu da tutti considerato una vittima della paura dei marò.

Il 15 Agosto avevamo organizzato in parrocchia una giornata di preghiera per la pace. Nel pomeriggio ci doveva essere una funzione predicata da don Viola Pino. Se non ché a mezzogiorno arrivò l’ordine di coprifuoco. Verso le 2 con don Viola uscimmo di casa per conferire col comando. Trovammo il tenente nell’osteria di Berto: cercammo di farli ragionare; non ci fu modo. Temeva lo sbarco. Erano i giorni dello sbarco in Normandia. Fortuna volle che trovammo un sergente tedesco che arrivava in quel momento da Finale. Mezzo in francese, mezzo in italiano riuscimmo a spiegarci del bisogno di permesso per la gente di andare in chiesa. Allora cercò il “tenancs” e poi con la mano ondulante sulla fronte per indicare l’insipiensa dell’ordine disse : ”Eglise libertà”, e poi rivolto al tenente “via, in caserma”. Così terminò il coprifuoco diurno.

Il 13 settembre, la giornata più tragica. Nella notte vi fu una sparatoria che durò alcune ore. Al mattino, dopo la messa, uscii ma non mi fu possibile raggiungere la piazza, perché vi erano ancora i cavalli di Frisia. Verso le 8venne un soldato a chiamarmi, perché il capitano voleva parlarmi. Trovai il capitano Cardinale sul ponte di Ese: mi disse di amministrare i sacramenti agli ostaggi, che sarebbero stati fucilati.

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Foto - soldato tedesco sul ponte di "Eze"

Trovai nel portone della casa Giudicelli Bai Elio di anni 15, Pampararo Giovanni di anni 16 e Bertone Angelo di anni 17.

Li confessai e cercai di incutere loro fiducia; li facevo pregare la Madonna. Bai disse: “ora che incominciavamo a farci una vita, ce la troncano”. Vidi arrivare il capitano con Giovanni Scanavino. Costui mi chiamò e mi disse “è ora che agiamo noi, il Podestà nicchia, agiamo noi”. Andai con lui nell’ufficio dov’era il telefono. Parlò il capitano e disse: “comandante sono pronto ad eseguire i vostri ordini. Gli ostaggi sono 3 e sono giovani dai 17 anni in giù. C’è un uomo che vorrebbe parlare con voi, ve lo passo?”. Passò il cornetto e disse: “ parlare”. Il signor Scanavino disse: “sono un vecchio calicese, conosco il paese in cui sono nato, un paese che ha dato prova di responsabilità in tutti i tempi e in tutte le guerre. Lei ora vorrebbe fucilare 3 ragazzi e sono solo ragazzi che hanno l’ambizione di giocare e lavorare. Anche lei sarà padre di famiglia, avrà dei ragazzi che in questi tempi penseranno solo a giocare, è vero? Pensi ai nostri 3 ragazzi e ai loro genitori”.  Poi parlò il capitano. Ascoltò il comandate e si limitò a dire: “ai vostri ordini comandante”. Senza neppure guardarci uscì, parlò coi soldati. Ci sembrò di udire : ”tu porti il plotone con gli ostaggi; voi nelle case”. Seguimmo i 3 ragazzi e vedemmo i soldati chiamare la gente per farla uscire dalle case e riunirla così in piazza: questo era l’ordine dato dai soldati. Riunite una trentina di persone, in maggior parte donne, arrivò il capitano Cardinale, incominciò l’arringa. Disse: “questa notte è stato ucciso un nostro soldato e due sono stati feriti. Sono stati i banditi che voi conoscete, nutrite e nascondete: noi ce ne freghiamo perché sappiamo di fregarcene. Vedete quei 3, dovrebbero essere fucilati: se ci sono 10  persone che si assumono la responsabilità di essi, siamo pronti a sospendere per qualche ora l’esecuzione. Pensateci bene: sarebbe fatale per questi e per quelli”.

Per primo alzai la mano e dopo di me ne ho visto altre. Ci presero i l nome poi il capitano disse: “oggi alcune case del paese saranno distrutte”. Ci mandò tutti via con l’ordine di non uscire di casa prima dell’esplosione delle case. Verso le 10 un boato! Si capì che era stata minata e distrutta una casa: era la casa di Bonomo Candido.

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Foto - Casa Bonomo

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Foto - i resti di casa Bonomo

Altre furono solo incendiate e distrutte porte e finestre. Quest’ultime case erano vecchie e disabitate. Mentre scendevo verso il paese incontrai sulla via della chiesa i 3 fucilandi con le loro madri; erano stati liberati e venivano a ringraziarmi. Li condussi in chiesa a ringraziare il Signore e a fissare quel giorno, quasi per voto, come giornata del ringraziamento (ogni anno si andava al Santuario di Monte Ese).

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Foto - centro i 3 ragazzi che dovevano essere fucilati

La casa chiusa.

Si seppe che si doveva aprire una casa chiusa per i soldati. Era stato per questo espropriato un appartamento in Via Vecchia nella casa Pampararo. Abbiamo inoltrato un reclamo al generale Farina, firmato da una cinquantina di padri di famiglia, autenticati dal Podestà. Qualche tempo dopo fui chiamato dal maggiore che mi disse: ”so che vi siete opposti alla casa chiusa. Il generale ha ubbidito a voi, io invece disubbidisci al generale e a voi. Questo lo faccio perché si elimina insidia sulle vostre ragazze, si evita il diffondersi di malattie veneree.” Io aggiunsi: “per attirare la maledizione di Dio sui vostri soldati”. Ricordai che fra le atrocità dell’esercito Rosso spagnolo, vi erano i buoni “per una notte” distribuiti ai soldati . Seppi dal capitano Boccato che a tavola il maggiore commentò le mie parole con una minaccia tipo fra’ Cristoforo e ne aveva riso.

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Foto - Casa Pampararo  e Chiesa

Bomba in Via Vecchia.

Il 17 dicembre andai a Savona; siccome dovevo ritornarci il giorno dopo, mi fermai a Valleggia in casa di don Genta. Il 18 pomeriggio ritornai a casa. Lungo l’Aurelia incontrai un sergente che accompagnava ad Altare alcuni sbandati che si consegnavano ai S. Marco. Mi disse che mi avevano cercato la sera prima per alcune raffiche di mitra sparate contro la chiesa. Mi incaricò di avvisare il suo tenente, che, non avendo trovato mezzi, andava a piedi ad Altare. Giunsi a casa, osservai alcuni vetri rotti nel caseggiato delle suore; ascoltai poi mia sorella e mia madre spaventate per i colpi che i soldati avevano dato alla porta di casa. Dalle suore seppi l’origine di tale danno. Un marò aveva gettato una bomba a mano dalla casa delle lavandaie. Mi recai dal tenente a fare l’ambasciata affidatami dal sergente e tra l’altro aggiunsi che conoscevo il motivo per cui la sera prima mi avevano cercato; mi rispose che era per un attacco di partigiani.  Uno dei soldati presenti disse che sarebbe stato uno di loro a sparare per primo e che poi le sentinelle spararono a loro volta; ma il tenente non volle saper ragione: era convinto che fossero stati i partigiani posti dietro la chiesa. Poi rivolto a me disse: “qui sono tutti filibustieri, tutti tutti”. Accertato che la causa del danno all’asilo era un marò, il giorno dopo mi recai dall’aiutante di campo  del maggiore e portai la nota del danno notificando che non fosse risarcito avrei scritto al generale Farina. Mi assicurò che sarei stato risarcito presto; voleva però conoscere l’autore del misfatto. Il 23 fui risarcito e con somma maggiore di quella richiesta. Il 24 sera mi fu chiesta una tavola per il pranzo natalizio. Al tenente dissi: “si è convinto che non erano i partigiani quella sera? Un prete più accorto nella strategia di un tenente? Da che parte sono i filibustieri”. Mi allungò la mano e mi augurò: “buone feste”.

La morte di Zunino Giovanni. Andava nei boschi, incampò in una mina (tutti i boschi a levante di Calice erano stati minati) che lo uccise; era il 20 gennaio 1945: fu la prima vittima calicese.

Una fucilazione ad Ese. Fu fucilato (sospetto partigiano). Nessuno di noi  seppe della cosa. Lo portarono da fuori, poi depostolo in una cassa l’hanno portato via. Io lo seppi indirettamente. Quella sera venne da me un soldato a chiedermi la sua situazione morale e religiosa. Era stato estratto tra i componenti di esecuzione per cui fu costretto ad accettare. Gli furono consegnate le armi per la fucilazione e la sua non caricata a salve. Il partigiano fu colpito e ucciso da due colpi e lui, tiratore scelto capì di averlo colpito. Voleva sapere se era colpevole e fosse incorso in una censura ecclesiastica: era dell’azione cattolica e conosceva bene la terminologia. Mi pregò, nel caso, di ottenere dal vescovo l’assoluzione della censura. Seppi poi che si confessò a Finale ed ebbe l’assoluzione con sua grande soddisfazione.

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18 marzo, domenica di passione. Sulla strada di Finale nei pressi della scalinata del marchese Piuma, fu ucciso il sergente dei marò, Abissoni Vinicio di Brescia, creduto nipote del generale Farina: non aveva però nulla a che fare con il generale. I soldati erano in chiesa alla messa; uscita dalla messa seppero della morte e corsero tutti verso Perti. Mentre si trasportava il cadavere nell’oratorio, si decise una rappresaglia ordinata dal maggiore: distruggere la scalinata e sparare con i cannoni 20 colpi su Feglino. Saputo che 3 colpi erano stati corti ne ordinò 25. Si seppe che a Feglino furono distrutte due case e ucciso una donna.

Nell’oratorio furono portate 9 salme in avanzato stato di  decomposizione. Erano state disseppellite al Pian dei Corsi dove fu incendiato l’accampamento dei partigiani. (Partigiani o S. Marco?). A condurre la controbanda nell’accampamento da una zona non presidiata da sentinelle fu un ex partigiano passato ai S. Marco. Lo chiamavano Tarzan, a Calice era conosciuto come “u spiun”, così i ragazzi lo avevano denominato.

Dopo una battaglia notturno tra partigiani e repubblichini (i partigiani prima delle battaglie tagliavano i fili della corrente elettrica), il tenente Bianco e due soldati, armi spianate perquisirono la chiesa. Vollero essere accompagnati in ogni angolo in ogni locale. Poi il tenente mi chiese se vi fosse il campanile e mandò un soldato a perquisirlo. Questi entrò, ma trovandosi al buio, pensò bene di tornarsene indietro dicendo al tenente: “non c’è nessuni”. Invece sul campanile e nel sottotetto della chiesa c’erano ben 6 uomini.

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Foto - Chiesa e campanile

Una domenica mattina di aprile venne una donna di Vene a dirmi in gran segreto che andassi subito dal comando perché sospendessi la fucilazione di 2 ostaggi calicesi: Olivieri Augusto e Musso Paolo. I partigiani avrebbero dato in cambio un ufficiale tedesco. Andai al comando, tutti dormivano, non erano ancora le 7. Entrai nella camera di tortura, dove venivano interrogati gli ostaggi. Vi era solo un uomo in borghese, una brutta faccia. Sul muro della camera v’erano alcune foto e una fotografia in grande di Mussolini con sotto la scritta “Duce sei il nostro dio”. Nessuno sapeva della fucilazione. Neppure a Borgio sapevano nulla. Poi fui chiamato dall’aiutante di campo il quale espresse il desiderio che il cambio fosse di soldati italiani e non di tedeschi. Quel giorno non vidi più nessuno; vidi solo quella brutta faccia che controllava tutte le persone che in quella domenica parlavano con me.

Il fatto in realtà era ben diverso da come era stato prospettato da quella donna staffetta. I due ostaggi, che non erano stati assolutamente sospettati di collaborazione con i partigiani, dovevano essere liberati. Un soldato però lo fece sapere loro in un modo strano, poiché disse: “domani andrete a casa del diavolo”, intendendo con questo: “a casa vostra”. Infatti Calice, Rialto e Feglino erano considerati “casa del diavolo”.

Quelli lo interpretarono come “andare all’inferno”, cioè essere uccisi. I partigiani allora, informati forse da qualche spia, cominciarono ad interessarsi al caso, facendo delle proposte di cambio di persone.

Alchè i S. Marco, cedettero di aver ottenuto sospetti sufficienti nei confronti dei due ostaggi: se i partigiani si interessavano a loro, era segno che essi avevano con loro dei rapporti. Per questo motivo i 2 furono mandati in Germania. Questo dimostra il disordine che c’era tra le file degli informatori.

Pasqua disturbata. Mentre i S. Marco si preparavano a consumare il pasto speciale, dal monte sopra S. Libera, furono sparati alcuni colpi con mortai. Fu dato l’allarme; tutti i soldati partirono verso i monti e ritornarono dopo le 2, a mangiare, mi dissero: “una pastetta che i muli avrebbero rifiutato”.

Chiamata notturna. Era la notte tra il 12 e il 13 aprile: fui chiamato per due moribondi nell’infermeria militare. Nel timore di fare la fine di don Peluffo (ho visto più volte scritto “abbasso il parroco” ed ero chiamato “il brigante nero”), salii da don Lorenzini al piano superiore della canonica e chiesta l’assoluzione andai. Scesi e trovai la ronda che mi aspettava e mi accompagnò. Giunto in infermeria ne vidi uno già morto, l’altro era appena uscito dalla medicazione ed era sotto schoc. Seppi che appartenevano alla controbanda e si erano sparati a vicenda. Come terminai la mia opera di sacerdote, la ronda venne a prelevarmi. Uscito dalla luce all’oscurità non riuscii subito a orientarmi: la ronda mi prese gentilmente per mano e mi fece scendere ad uno ad uno gli scalini. Trovandomi in buone mani, chiesi di andare a casa di una lavandaia dei soldati, che aveva il papà in agonia. Vedendomi arrivare nella casa dell’ammalato si meravigliarono che di notte fossi fuori: assicurai di essere in buone mani: i soldati della ronda mi avevano accompagnato, erano i migliori di tutti. Preferii lasciare la casa e tornare con quelli piuttosto che attendere la ronda seguente. Arrivato a casa, don Lorenzini mi chiamò dicendomi che temeva che non ritornassi più e ne ringraziava il Signore.

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Il 23 aprile, prime partenze, primi saluti. Un soldato tedesco mi salutò; mi fece vedere la foto dei suoi bambini e mi disse con le lacrime agli occhi: ”io kaput, partigian, inglesi, non Germania”. Gli diedi un’immagine ed egli la mise vicino alla foto poi disse : ”dio iuta , iuta”.

Il 25 aprile i primi partigiani. A Calice comandava un certo Piccardo, il barbiere di Finalborgo, “u Tilio”. Tutti avevano coccarda rossa, fazzoletti rossi. Anche quelli che erano sempre con i S. Marco fecero “ribotta”. Un caos! Venne da me il “Tilio” era accompagnato da Bruzzone Francesco (questo forse voleva farsi scusare di aver fatto parte della Forestale) mi chiese un nome per la formazione della giunta comunale: il sindaco era Carzolio Bernardino, scelsi Siffredi Ernesto.

Furono tagliati i capelli a 5 ragazze, non si ebbero vittime anche se vi furono delle minacce.

Chiamarono i vecchi ex fascisti per chiudere le trincee scavate sulla piazza. Protestai per tale cosa: vecchi sull’ottantina che si reggevano appena in piedi avere la zappa e il badile in mano! Furono mandati a casa versando una piccola somma.

Primo maggio. Fui chiamato in comune per la celebrazione del 1 maggio. Tutto si concretò in una messa a dispetto del “Tilio” che voleva solo il corteo.

Fra il 29 aprile e l’8 maggio vi furono 3 funerali di partigiani calicesi. Solo Piombo Aldo fu ucciso dai S. Marco (novembre 1944), gli altri per incidenti dopo il 25 aprile. I loro nomi erano Rosa Vincenzo, che fu colpito da un suo compagno e Decia Giuseppe che mise un piede su una mina.

In occasione del funerale di Piombo Aldo non permisi alle bandiere rosse di entrare in chiesa. Per tale motivo fui chiamato “ad audiendum verbum” dal comando dei partigiani. Chi presiedeva il consesso era un ex S. Marco slavo. La discussione durò una ventina di minuti. Come conclusione mi chiesero scusa e mi invitarono ad avvisare in chiesa (sic!) che alle 5 sarebbe venuto a Calice il “Benzina”, un esponente comunista di Finale.

Parlai a lungo dell’avversità delle idee e non accettai la proposta. So che alla sera nell’osteria,parlando del colloquio avuto con me, i magnati di Finale rimproveravano il comando calicese perché si erano fatti mettere nel sacco dai preti. I calicesi seppero allora di aver fatto brutta figura.

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Foto - Ricorrenza 25 Aprile

 
Partner

Carlo Croce, che risiede a Montevideo, ma con profonde radici calicesi e un legame indissolubile con il nostro paese ci presenta il suo sito web dedicato al mondo dell'agricoltura

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(per l'occasione il sig. Croce ha preparato una pagina in italiano per i lettori di Calice Ligure)