Testimonianza di Don Giusto Giovanni sulla Resistenza

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Nato 1920. Nominato 19 Giugno 1943

Dopo essere stato Curato a Stella fra gli sfollati andò a Rialto il 25 giugno 1944

 

 

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Foto Panoramica di Rialto con Chiesa e oratorio

Vidi i partigiani i partigiani per la prima volta proprio il 25 giugno: vennero a rendere omaggio (vestiti poveramente) in dodici, cappeggiati da Tigre (potei solo contraccambiare con qualche biscotto). Tigre era un uomo molto grande e forte, sui trent’anni e si faceva chiamare “Tenente Tigre”. Da quel momento vennero sempre a farsi cuocere qualche patata, un po’ di polenta, per fare del pane, castagne, cioè generi di prima necessità.

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Foto  arrivo ad Rialto di Don Giusto

A Calice Ligure vi era la guarnigione dei S. Marco, d’istanza nella Cappella di S. Libera. Li comandava il tenente Leonardini e il maggiore De Zorzi. Da qui partivano per i rastrellamenti.

I partigiani nascosero delle armi nella cappella della Madonna della Neve. I Tedeschi sapevano di questo perché li sorvegliavano con i binocoli dal Settepani. Li avvisai di questo, ma non mi vollero ascoltare. I Tedeschi e i S. Marco il 5 settembre 1944, con dei tubi di gelatina fecero saltare la cappella. Vidi proprio il momento dell’esplosione! Potei ricuperare poi due statue, anche mal ridotte. In seguito, con i frammenti ritrovati fra le macerie della cappella le statue furono restaurate. Al posto del paese venne sacrificata la cappella.

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Foto Cappella Madonna della Neve

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Foto Cappella distrutta

Il 2 novembre 1944, ci fu il primo rastrellamento. Faceva molto freddo e pioveva. Nel coro della chiesa c’erano tre giovani di Rialto (fra i quali il papà dell’ex seminarista Rovere). Alla porta della chiesa comparve un sergente–maggiore dei S. Marco; gli andai incontro con la speranza che i tre potessero scappare attraverso una porticina che dà sulla canonica e poi sul pollaio. Infatti fuggirono mentre parlavo. Riuscirono, non facendosi prendere, a evitare la Germania.

Invece altri del paese furono arrestati. Dopo trattative riuscimmo a farli uscire, facilitati dal fatto che ai S. Marco interessavano solo i tre giovani. Ad ogni modo mi interessai personalmente di essi. Si vendicarono con me uccidendomi e portandosi via polli e conigli. 

Il 2 febbraio del 1945, ritornavo da una donna malata (poi morta), quando mi fermarono delle donne affamate e sconvolte che mi dissero di andare a prendere i “miei morti”, perché così aveva ordinato il tenente Leonardini. Un ex partigiano, un certo Tarzan, aveva rivelato ai S. Marco il nascondiglio dei partigiani; li aveva accompagnati di persona all’accampamento che era al Pian dei Corsi. Quel giorno c’era un metro di neve. Però i S. Marco lasciarono scoperto, nel loro accerchiamento, un ruscello che favorì la fuga ai partigiani, i quali riuscirono ad evitare di essere uccisi tutti nell’imboscata. I partigiani che scapparono erano poco niente vestiti: c’era la neve ed il freddo era molto tagliente. Il primo morto lo trovai in località Casermetta, il suo nome era Davide Piccardo. I morti erano per lo più svestiti e bruciati: dopo averli avvolti in teli di tenda li portammo nell’oratorio di Rialto dove li identificammo. I funerali si svolsero in forma solenne il 5 febbraio; avevo avvisato personalmente il comandante a Calice che non doveva assolutamente esserci un rastrellamento durante i funerali.

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Foto Chiesa San Pietro Rialto

Mantenne la parola. Parteciparono molti partigiani alle onoranze. Chi mi aiutò in questo fu il Podestà. Undici casse bianche, semplicissime, del colore del sapone, coprivano tutta la chiesa. Le portavano dei partigiani. Due di essi erano miei amici. Uno era il Bussolati: pregavamo spesso insieme. Si confessava spesso da me, e con me faceva la meditazione; gli avevo anche dato un libro, che si era portato all’accampamento, che usava per la meditazione.

Sposai un partigiano, il Pes, che aveva 24 anni ed era un ex seminarista; fu ucciso a Segno poco tempo dopo.Il mattino del 15 marzo, ci fu un rastrellamento da parte delle brigate nere. Mi fu intimato l’alt da due brigate nere mentre uscivo in bicicletta per andare a Finale. Dopo circa mezz’ora entrarono in casa due commissari in borghese, con un carteggio sulle mie relazioni con i partigiani.  “Spesa, confessa, dice messa tutto per i partigiani”. Alla mia risposta affermativa: “è il mio ministero”, restarono disorientati. Allora mi avvertirono che avrebbero fatto saltare tre case; cosa che invece poi non accadde. I commissari se ne andarono; gli altri rimasti si misero ad ispezionare la cantina, le camere, la canonica, ma non trovarono che castagne secche e se ne andarono via rabbiosi perché non poterono trovare nemmeno un’arma. Tutto i l giorno il paese restò in mano alle brigate nere (alcune di Vado Ligure) e solo alla sera si ritirarono. Portarono con sé Garulla Emilio e Garulla Natalina (padre e figlia); furono rilasciati dopo una settimana.

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Foto Di Natalina ed Emilio Garulla

Dovevo essere fucilato, ma riuscii a dimostrare che il mio lavoro era quello d fare il prete e non il partigiano; se mi ero trovato nella mischia era perché cercavo di fare del bene e di aiutare la povera gente. Non accennai affatto agli avvertimenti che davo ai partigiani quando venivo a sapere dei rastrellamenti: se lo avessi detto per me sarebbe stata finita.

Nel marzo del 1945, ci fu l’ultimo rastrellamento. Era la fine del mese ed avevo in chiesa circa 40 ragazzini che si preparavano alla prima comunione. Sentimmo sparare; nello spavento generale mi affacciai sulla porta e ricevetti una raffica di mitra che mi passò a due centimetri dallo stomaco. Con me i S. Marco l’avevano a morte. Passato il primo momento, spaventato al massimo, ma facendo finta di niente, mi rivolsi ai S. Marco avvertendoli di brutto che avevo quaranta ragazzi e che quindi mi lasciassero in pace con loro: allora si allontanarono spauriti e disorientati del mio comportamento

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Foto Cotrobanda

Nessun giovane di Rialto fu arrestato e deportato in Germania. La mia situazione a Rialto fu davvero difficile non avendo alle mie spalle che la sola esperienza di seminario.

Dopo la fine della guerra, il direttore della banca di Finale, che era un fascista convinto, allo scopo di salvare la pelle venne da me, perché ero in contatto con i partigiani, chiedendomi di metterlo in contatto con loro. Cosa che io feci. Essi, poi, lo intimidirono facendogli scavare una fossa, ma solo per avere dei soldi: difatti per salvare la pelle versò parecchi soldi. Come lui molti altri salvarono la elle in questo modo (per esempio un tabacchino di Finale Marina). Ho fatto opera di mediazione sia durante la guerra che dopo.

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Foto ricostruzione Cappella Madonna della Neve